Agerola
Agerola
Agerola è un comune italiano sparso della città metropolitana di Napoli in Campania. Il territorio comunale è suddiviso in sei frazioni: San Lazzaro, Campora, Santa Maria, Pianillo, Ponte, Bomerano. Agerola è posizionata in una conca sui monti Lattari a 600 metri sul livello del mare. molto prossima alla costiera amalfitana, tanto che in passato è stata integralmente parte della Repubblica Amalfitana. La vocazione agricola del paese ha indotto a far risalire il toponimo al latino ager=campo, tuttavia esiste una seconda ipotesi, avanzata dallo storico Matteo Camera, secondo la quale il nome può anche derivare dalla voce latina aëreus nel senso di “luogo elevato”. Esiste infine una terza tesi che farebbe derivare il toponimo da Jerula=gerla, forse per la forma a conca dell’altopiano su cui è eretto il paese. E infatti, ancora oggi, Agerola in dialetto agerolese si pronuncia “ajerl”. Le prime tracce di presenza umana nel territorio risalgono molto probabilmente alle Prime Età del Ferro. In epoca romana la zona era ricca di “ville rustiche” soprattutto nella parte pianeggiante, per cui si suppone che fosse ampiamente coltivata data la posizione privilegiata. In seguito ai danni arrecati dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., il suolo fu coperto da un metro e mezzo di pomici per cui si registrò un certo spopolamento anche se l’allevamento bovino dovette rimanere florente, tanto che nella seconda metà del II secolo d.C., Galeno, medico di Marco Aurelio e Commodo, nel De metodo memendi (V,12) vantava la bontà e le qualità terapeutiche del latte prodotto sui Monti Lattari (Lactarius mons) tanto che Cassiodoro (Variae, XI 10) scriveva tra il 533 ed il 537 d.C. che il re dei Goti aveva ordinato ad un suo servo di ricorrere ai “rimedia lactarii montis”, poiché le cure dei medici non gli giovavano. Nei secoli centrali del medioevo la conca di Agerola si ripopolò e sviluppò nei suoi 5 casali: Campulo, Memoranum, Planillum, Ponte e San Lazzaro, parallelamente al rifiorire della Costiera e al costituirsi del Ducato Amalfitano. Divenne parte integrante del territorio di Amalfi con cui condivise gli scambi commerciali che la collegavano all’intero Mediterraneo, a Bisanzio e, ovviamente, a Napoli. Divenne sede di una manifattura di tessuti in seta in cui gli agerolesi divennero specializzati. Nei secoli che seguirono, il comune entrò a far parte del Regno di Napoli di cui seguì le alterne vicende fino all’Unità d’Italia. Nel settecento Agerola visse un periodo assai prospero, durante il quale si verificò una riduzione delle tasse, un miglioramento delle condizioni economiche, che è attestato dalla crescita esponenziale del numero dei suoi abitanti e dal forte calo del brigantaggio. La condivisione delle idee ispiratrici della Rivoluzione francese da parte dei nobili agerolesi residenti a Napoli, fecero in modo che Agerola aderisse subito alla costituzione democratica della repubblica partenopea, tanto che venne piantato nello spiazzo antistante la chiesa Madonna di Loreto, nella frazione Campora, un tiglio, simbolo di libertà, che da allora è stato sempre ripiantato. Nel XIX secolo la figura dominante fu il generale Paolo Avitabile che costruì la sua fortuna servendo prima l’esercito borbonico, poi il maharajah di Lahore. Nel 1854 il generale ottenne il distacco di Agerola dalla provincia di Salerno (Principato Citeriore) e la conseguente aggregazione a quella di Napoli. La cittadina venne così separata dal territorio di Amalfi con cui aveva condiviso secoli di storia restando collegata ad esso soltanto sotto il profilo religioso attraverso l’arcidiocesi.
Sentiero degli Dei
Un luogo di particolare interesse è il Sentiero degli Dei. Il sentiero degli Dei è un sentiero escursionistico che percorre i Monti Lattari, snodandosi tra la Costiera Amalfitana e la Costiera sorrentina, nella Regione Campania. Lungo circa 7,8 km, collega la località di Bomerano (frazione di Agerola) con la località di Nocelle (frazione di Positano), attraversando diversi borghi della costiera ed è considerato tra i sentieri escursionistici più belli al mondo. La manutenzione è affidata ai volontari di diverse associazioni locali e circoli escursionistici quali il CAI. Il nome deriva dalla leggenda secondo cui fu la strada che percorsero le divinità greche per salvare Ulisse dalle sirene che si trovavano sull’isola de Li Galli. Il sentiero è stato per secoli l’unica via di collegamento tra i borghi della Costiera Amalfitana, fino alla realizzazione dell’attuale strada statale costiera per opera dei Borbone. Per anni continuato ad essere usato come mulattiera è stato riscoperto in tempi recenti e adeguato a sentiero escursionistico. Spesso si tende a chiamare sentiero degli Dei anche il percorso che da Santa Maria del Castello (Vico Equense) porta a Bomerano, dividendo tra sentiero degli dei “alto” e sentiero degli dei “basso” (quello appunto da Bomerano a Nocelle), ma il tratto più celebre e famoso è sicuramente quello cosiddetto “basso”, oltre che il più adatto dal punto di vista della tradizione a fregiarsi del nome.
Sentiero “alto”
Il percorso che si snoda da Santa Maria di Castello a Bomerano è forse più faticoso del suo prosieguo basso, anche per una elevata escursione altimetrica, che passa dai 659 m di Santa Maria di Castello ai 1079 m s.l.m. di capo Muro, per arrivare di nuovo poi ai 633 m s.l.m. di Bomerano, punto di arrivo di questo percorso alto e di partenza per quello basso.
Sentiero “basso”
Il tratto che va da Bomerano a Nocelle è sicuramente meno faticoso e forse anche più suggestivo, essendo quasi interamente in discesa, anche se quando preso da Vettica Maggiore o da Praiano (una delle tante varianti possibili al percorso principale) obbliga ad affrontare scalinate e salite per raggiungere il sentiero vero e proprio; i vantaggi di queste soluzioni sono puramente scenografici e soggettivi, anche se salendo da Praiano è possibile visitare anche il convento di San Domenico. Dal minuscolo e caratteristico borgo di Nocelle si può proseguire per arrivare, dopo circa mezz’ora di cammino per delle scale, fino a Positano.
Chiesa di San Matteo Apostolo
La chiesa di San Matteo Apostolo è una chiesa monumentale di Agerola, situata nella frazione di Bomerano nel territorio della forania di Agerola-Furore, all’interno dell’arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni. La chiesa di San Matteo Apostolo è la maggiore di Agerola, ha forma di croce latina ed è dotata di un’ampia abside. Al suo interno si trovano dipinti di Paolo De Maio, Pietro Alemanno e Giovanni Angelo D’Amato. La chiesa di San Matteo Apostolo è la maggiore di Agerola, ha forma di croce latina ed è dotata di un’ampia abside. Al suo interno si trovano dipinti di Paolo De Maio, Pietro Alemanno e Giovanni Angelo D’Amato. Si ha notizia dell’esistenza di un’antica chiesa dedicata a san Matteo nel territorio del Comune di Agerola da un atto di vendita dell’anno 1158: la chiesa si trovava dove ora sorge il campo sportivo, in località Bomerano, mentre l’edificio esistente, che si affaccia sulla piazza dell’abitato, risale al 1580. A questa costruzione fanno riferimento due arcivescovi amalfitani Carlo Montillo nel 1572 e Giulio Rossini nel 1580. Giovan Francesco Cavaliere fece edificare la cappella del Carmine alla quale donò una pala con l’immagine delle Sante Lucia e Caterina. Nel 1605 la parrocchia possedeva un reliquiario che il Rossini fece proteggere cingendolo con un cancelletto di ferro. Nel 1639 l’arcivescovo Angelo Pico annotava la presenza di un quadro raffigurante la Vergine sull’altare maggiore che fu restaurato nel 1989 dalla Soprintendenza dei beni artistici di Napoli.
Chiesa della Santissima Annunziata
La chiesa della Santissima Annunziata è una chiesa monumentale di Agerola, situata nella frazione di San Lazzaro: è sede parrocchiale. La data sulla costruzione è incerta: sicuramente fu costruita sullo stesso luogo dove in precedenza sorgeva un piccolo edificio sacro dedicato a San Lazzaro; nel 1605 ospitò la congregazione del Santissimo Sacramento, a cui si aggiunse circa un secolo dopo anche quella del Rosario e dei Morti. Nel 1812, a seguito della soppressione degli ordini religiosi, numerosi arredi sacri provenienti dal convento di Cospiti, furono trasferiti nella chiesa per volere dell’allora sindaco Tommaso Acampora. La chiesa presenta una semplice facciata divisa in due da una trabeazione: la parte inferiore è caratterizzata dal portale d’ingresso centrale, sormontato da un timpano, ed un ingresso laterale posto sul lato sinistro, sormontato da un piccolo rosone: lo stesso elemento si ritrova anche sul lato destro e sul portale principale; la parte superiore invece termina a timpano, con una croce in ferro sulla sommità. L’interno è diviso in tre navate tramite piedritti che terminano ad arco a tutto sesto: le due navate laterali, più piccole rispetto a quella centrale, ospitavano un tempo cappelle gentilizie, spesso oggetto di disputa tra chiesa e comune, mentre oggi sul lato sinistro, in una teca, è conservata la statua di un Cristo deposto, mentre sul lato destro è una statua di San Gregorio ed una di San Francesco, proveniente dal convento dei Cospiti. Sull’altare maggiore si trova la tela raffigurante l’Annunciazione che dà il nome alla chiesa, mentre sul lato destro è una croce in marmo, risalente al XIV secolo. Esternamente, accanto alla facciata, si innalza il campanile con pianta quadrata e diviso in tre ordini: i primi due seguono il disegno della pianta andandosi man mano a restringere, il terzo è a forma poligonale ed il tutto termina con una cupola, sormontata da una lanterna; su un muro alla base del campanile si apre una piccola edicola che in passato ha ospitato diverse croci, tra cui quella oggi esposta sull’altare maggiore.
Chiesa di San Michele Arcangelo
La chiesa di San Michele Arcangelo è una chiesa di Agerola, situata nella frazione di Campora. La chiesa fu edificata nel 1680 per volere di Antonio Acampora, appartenente ad una ricca famiglia di mercanti di Agerola ma che svolgeva la propria attività a Napoli, da utilizzare come luogo di sepoltura per la sua famiglia. La costruzione non subì particolari cambiamenti nel corso dei secoli, fino al 1980 quando, a causa del violento terremoto dell’Irpinia, rimase notevolmente danneggiata: si resero quindi necessari dei lavori di restauro, finanziati sia dalla famiglia degli Acampora, sia dalla Soprintendenza ai Beni Artistici di Napoli e la chiesa fu riaperta al culto nel 1996. La chiesa presenta uno stile semplice, influenzato dal gusto barocco: l’accesso è consentito da una scalinata in pietra e la facciata è caratterizzata da un arco in pietra scolpito che sovrasta e sporge sul portale sottostante; in asse con la porta d’ingresso si apre prima una finestra rettangolare e poi una piccola ovale: sulla sommità del tetto, che presenta un doppio spiovente, è posta una croce in ferro. Internamente è a navata unica e lungo le pareti laterali sono posti archi che poggiano su colonne in muratura e lesene, mentre al centro della navata, coperta dal pavimento, è la fossa utilizzata come luogo di sepoltura, così come ricorda anche un’epigrafe; la zona dell’altare maggiore si apre in un’abside, caratterizzata dall’unica tela presente in tutta la chiesa, che rappresenta san Michele nell’atto di sconfiggere il demonio, opera del XVII secolo, realizzata da Andrea Malinconico. All’esterno, alle spalle dell’abside, si innalza il campanile, con tetto a doppio spiovente e cella campanaria caratterizzata dalla presenza di pietre vive all’esterno.
Chiesa di San Pietro Apostolo
La chiesa di San Pietro Apostolo è una chiesa monumentale di Agerola, situata nella frazione di Pianillo: è sede parrocchiale e al suo interno viene venerato il patrono della città, Sant’Antonio Abate. Sulla costruzione della chiesa non si conoscono date certe a causa della mancanza di fonti: le prime notizie della sua esistenza risalgono al 1546 quando al suo interno si riuniva la Confraternita del Santissimo Corpo di Cristo che aveva il compito di celebrare la messa nel giorno del Santissimo Sacramento e di fornire incenso e polvere da sparo ai frati del convento di San Francesco di Cospiti. Nel 1572 la chiesa risultava essere sede della Confraternita di san Cristoforo: per oltre un secolo non si hanno notizie, fino all’inizio del XVIII secolo quando al suo interno venne fondata la Congrega del Carmine, mentre nel XIX secolo, nel piazzale antistante, si svolgevano le riunioni dell’amministrazione comunale. Nel corso degli anni la chiesa ha subito numerosi rifacimenti che hanno modificato l’aspetto originario. L’accesso alla chiesa è data da un’ampia scalinata, mentre la facciata è divisa in tre parti da una trabeazione: nella parte inferiore si aprono due portali d’ingresso, di cui quello di destra di maggiori dimensioni e quello a sinistra più piccolo, la parte centrale è caratterizzata da tre finestre ed infine la parte superiore termina a timpano, decorata al centro da uno stucco realizzato nel 1926 dal salernitano Luca Giordano e raffigurante l’incoronazione della Madonna del Carmine, circondata da angeli, affiancata da san Pietro con un gallo e sant’Antonio Abate con alcuni animali domestici; la facciata termina con una croce in ferro posta sulla sommità del timpano. Internamente la chiesa è a croce latina, con pronao, delimitato da una vetrata, che separa l’ingresso dall’assembla e che presenta al soffitto un’effigie di sant’Antonio Abate e suddivisa in tre navate: le due laterali presentano delle volte a crociera che poggiano su pilastri in muratura. Nella navata di sinistra, nel 1950, sono state costruite tre cappelle dedicate rispettivamente al Sacro Cuore di Gesù, a san Pietro Apostolo e sant’Antonio Abate, quest’ultima ricoperta con marmi, stucchi e vetri policromi e sul fondo è posta una tela rappresentata la Madonna del Purgatorio, contornata da scene di storie dell’aldilà; sull’arco trionfale della navata centrale sono poggiate due tele di autore ignoto che ritraggono Mosè con in mano le tavole e Davide intento a suonare la cetra. Nella zona dell’altare maggiore, a forma absidale, si trova un grosso dipinto olio su tela, risalente al XVIII secolo, raffigurante la Madonna col Bambino ed ai lati i santi Pietro e Paolo: l’opera ha subito un lungo restauro ed è stato ricollocato nella sua posizione originaria nel 1994; al di sotto della cupola sono presenti quattro tele rappresentanti i quattro evangelisti. Al di sopra dell’ingresso della sagrestia, in un lunotto, è posto un olio su tela raffigurante Dio tra san Francesco Saverio e sant’Ignazio, risalente al XVII secolo e nello stesso luogo si trova un tale della Madonna col Bambino contornata da quindici riquadri nei quali sono ritratti i misteri del Rosario ed una tela di uomo, forse ritratto del committente. Nel corso dei lavori di restauro, nel 1999, è stata sostituita la precedente pavimentazione in ceramica, ormai consumata, con una nuova in marmo. Sul lato destro della chiesa si innalza il campanile, diviso in cinque settori: il primo è un basamento cubico, segue poi una zona a tronco di piramide, una a forma cubica con finestra monofora e due piani a forma ottagonale, uno con finestra monofora, che ospita anche la cella campanaria, con campana fusa nel 1363 da Giuliano da Venezia e rifusa nel 1915 poiché presentava diverse lesioni e l’altro con orologio; il tutto termina con un cupola ricoperta con maioliche policrome, sormontata da una croce in ferro. Il campanile subì numerosi danni al seguito del terremoto dell’Irpinia del 1980 e fu completamente restaurato: in precedenza, l’orologio della torre era stato sostituito nel 1913 e poi nel 1922 da uno meccanico con l’aggiunta di due campanelle di centoventi e duecento chilogrammi ciascuna. Sulla lato sinistro della chiesa si trova l’oratorio, costruito all’inizio del XVII secolo, con ingresso dalla navata sinistra e costituito da un ambiente a navata unica, con soffitto in passato decorato da una carta telata a motivi geometrici ora andata perduta ed altare sul fondo, con al centro, incastonato tra due colonne, una tavola raffigurante la Madonna col Bambino, tra san Domenico e santa Caterina; all’interno dell’oratorio, restaurato anch’esso dopo il terremoto del 1980, è esposto un busto del 1752, restaurato nel 1988, raffigurante il busto di sant’Antonio Abate e basamento ricoperto con lamine d’oro.
Chiesa di Santa Maria la Manna
La chiesa di Santa Maria la Manna è una chiesa monumentale di Agerola, situata nella frazione Santa Maria: è sede parrocchiale. La chiesa fu edificata intorno al XIII secolo e nel corso della sua storia fu più volte rimaneggiata: nel 1980, a causa del violento terremoto dell’Irpinia, rimase gravemente danneggiata, tanto da indurne la chiusura. Il restauro avvenne solo molti anni dopo, grazie ai fondi della soprintendenza dei beni storici di Napoli e dei fedeli della zona: la chiesa fu quindi riaperta il 14 agosto 1999, anche se in questo lungo arco di tempo di chiusura, numerose opere d’arte custodite al suo interno, furono trafugate. La chiesa si apre su un ampio piazzale in terra battuta; la facciata è divisa in due ordini: quello inferiore è caratterizzata da tre archi a tutto sesto, di cui quello centrale viene utilizzato come ingresso, quello a destra è murato e quello a sinistra ospita un’edicola con la raffigurazione della Madonna con il bambino tra le braccia, mentre la parte superiore presenta tre finestre in corrispondenza degli archi sottostanti ed un piccolo rosone: la facciata termina a timpano, sulla cui sommità è posta una croce in ferro. L’interno è a croce latina, divisa in tre navate: sul fondo della navata centrale, in una nicchia, è posta la statua in marmo della Madonna della Manna, realizzata nel XIII secolo da Nicola di Monteforte, che secondo la tradizione trasudò gocce di un liquido di colore celeste; altra opera d’interesse, anche se di scarso valore artistico, è posta sul fondo della navata destra: si tratta di una tavola del XVI secolo, raffigurante la Madonna con Gesù deposto dalla croce, con san Giovanni e sant’Agostino. Lungo il pavimento sono incastonate lapidi sepolcrali del XVI e XVII secolo. Il campanile, che si eleva dal corpo della chiesa, è in quattro ordini sovrapposti: i primi due a pianta quadrata, il terzo a pianta poligonale ed il quarto a pianta circolare terminante con cupola sferica con maioliche in verde e giallo.
Convento di San Francesco di Cospiti
Il convento di San Francesco di Cospiti è stato un convento francescano, situato ad Agerola, abbandonato e ridotto
ad un rudere. La costruzione del convento risale all’XI secolo, nella stessa zona dove precedentemente esisteva una piccola chiesa dedicata al Santissimo Salvatore: il primo documento scritto che attesta la presenza della struttura è datato al 1º maggio 1092. Il convento, gestito dai frati dell’Ordine Mendicante dei Francescani, fu edificato in una zona panoramica, ad un’altezza di 632 metri, sulla cuspide di uno sperone di roccia: proprio dalla sua posizione deriva il nome Cospiti. Nel 1266 il convento passò sotto il patronato della famiglia Candido e pochi anni più tardi a quella dei Molegnano, i quali, nel 1380, compirono importanti lavori di restauro: in questo periodo, il 2 agosto, il tempio era meta di numerosi pellegrinaggi per festeggiare la ricorrenza della porziuncola. Nel 1694 ospitava tre sacerdoti, un chierichetto e tre laici; da una descrizione fatta nel 1693 risulta che l’intero complesso fosse formato da una chiesa, un dormitorio, un refettorio, un chiostro e piccole altre strutture che servivano alla vita monastica, come una grotta, in parte murata, che veniva destinata all’eremitaggio: tale grotta era chiamata di Sisto, in quanto, il futuro papa Sisto IV, prima di salire al pontificato, per sfuggire ad una persecuzione, si rifugiò nell’antro, dove visse per due anni. In lacune relazioni del 1720 si attesta che il convento fosse ancora in uso, ma pochi anni più tardi cominciò un lento abbandono, come testimoniato da uno scritto dell’arcivescovo Antonio Puoti del 22 aprile 1762, che affermava che al convento vissero solo tre frati; il colpo di grazia fu inferto dall’occupazione francese del regno di Napoli, quando fu ordinata la chiusura di tutti i conventi, tra cui anche quello di Cospiti: tuttavia risulta che nel 1803 quasi tutti i monaci avessero già abbandonato il convento. Inutili furono le richieste al re da parte del sindaco di Agerola, Tommaso Acampora, di far riaprire la struttura negli anni successivi ed a seguito di una profanazione, avvenuta il 14 dicembre 1811, il primo cittadino decise di trasferire tutte le opere d’arte e gli arredi del convento sia nella propria casa che nella chiesa della Santissima Annunziata: alcuni oggetti inoltre entrarono a far parte di diversi musei napoletani; spogliato di ogni bene, tutti gli ingressi furono murati. Nel 1820 fu adibito a caserma, mentre nel 1821 la zona fu prescelta come luogo di sepoltura per i morti durante le epidemie: fu quindi definitivamente abbandonato, riducendosi ad un rudere; oggi è possibile vedere ancora resti delle mura del convento e della chiesa, in particolar modo della zona absidale.
Altro:
Monte tre Calli
Chiesa di San Pietro
La vigna degli Dei (degustazione vini e salumi)
Post Discussion